Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2 стр 3.

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Un altro pedante de' più arrabbiati, il corcirese Mario Pieri, così discorre de' Promessi Sposi nelle sue Memorie, che son rimaste inedite:

«Firenze, 15 agosto 1827. Ho letto i primi due capitoli (non potei averlo che per pochi momenti) del romanzo di A. Manzoni, del quale non dirò nulla fino a tanto che non l'avrò letto tutto, benchè in quegli stessi capitoli io abbia inciampato in più d'una cosa di cattivo gusto, senza dir dello stile, che mi sembrò così tra il milanese ed il francese. E questi godono fama di grandi scrittori!

«Firenze, 6 ottobre 1827. Leggo i Promessi Sposi, che ora mi stancano colla soverchia prolissità e colle minutissime descrizioni.

«7, domenica. Il viaggio di Renzo (nel romanzo del Manzoni), da Milano a Bergamo, è una bellissima cosa, e quivi stanno bene anche quelle minutezze e particolarità, che ci vengono tanto spesso innanzi fino al fastidio in quel libro. Grande ingegno è il Manzoni, ed è un gran peccato ch'egli voglia farsi il corifeo del falso gusto in Italia! Ho consumato gran parte del giorno (dalle due alle sei) alle Cascine, passeggiando e leggendo i Promessi Sposi. La mattina ho letto una prefazione, che il signor Camillo Ugoni pose alla testa d'una edizione parigina delle poesie del Manzoni, in cui quel letterato bresciano, romantico per la vita, delira, al solito, sui bisogni del nostro secolo, sul dramma storico, sull'arte e sulla natura, sopra una libertà ch'egli chiama Scolastica, ch'egli attribuisce all'Alfieri, e ai seguaci de' classici, e simili follie. Povera letteratura italiana, ecco i tuoi sostegni! Che mai diverrà questo secolo, quando Monti e Pindemonte non saranno più tra di noi!

«Firenze, 22 ottobre 1827. Ho terminato finalmente i Promessi Sposi, libro che, a malgrado del falso gusto, delle lungaggini eccessive, delle troppo minute descrizioni, e simili altre tedescherie, manifesta un grande ingegno nel suo autore, oltre l'animo gentile e gli egregi costumi».

Chi vide e gustò le bellezze de' Promessi Sposi appena che uscirono dal torchio fu Pietro Giordani; e da Firenze, dove allora abitava, andò manifestando agli amici le impressioni ricevute da quella lettura. Il 21 settembre del '27 scriveva a Francesco Testa14: «Del Manzoni siamo perfettamente d'accordo: eccellente pittore, benchè fiammingo. Egli è ora qui: amabilissima e modestissima persona: riverito e amato da tutti, onorato straordinariamente dalla Corte». E che nel romanzo ci sia del fiammingo, è vero; ma lì dove ha maggiore bellezza, bellezza ineffabile. Il 15 d'ottobre chiedeva a Lazzaro Papi: «È venuto costà [a Lucca] il romanzo di Manzoni? Com'è piaciuto?.. Manzoni fu qui molti giorni; ebbe grandi accoglienze da tutti; e straordinario onore dalla Corte. È uomo di molta e amabile modestia, e belle maniere In Roma ora è proibito di vendere il romanzo di Manzoni, che pur vi entrò con amplissime licenze»15. Il 22 del mese stesso torna a scrivere al Testa: «Manzoni, amabilissimo per la modestia e la bontà e l'ingegno, dev'esser partito assai contento di Firenze, e più contento della Corte, che l'ha onorato straordinariamente. Del suo libro, poichè volete, vi dirò che mi è piaciuto. Ci vedo un'assai fedele pittura dello Stato di Milano in que' tre anni miserabilissimi 28, 29 e 30. Verità somma e finitissima ne' dialoghi e ne' caratteri. Nobilissimo il carattere del Cardinale: naturalissimi tutti gli altri inferiori: la. stolidezza e la ferocia dei dominatori stranieri efficacemente rappresentata: un modello di religione tollerabile, e anche utile. Cominciano a insorgergli contradittori al solito: ma credo che il libro vincerà e durerà. A me i difetti paion pochi e leggieri: i pregi moltissimi e non piccoli. E poi è il primo romanzo leggibile che sia sorto in Italia: è adatto a molte sorti di lettori: s'insinua nelle menti: vi germoglierà qualche buon pensiero. Eccovi contentato, mio caro: v'ho detto quel che penso; e non per politica, come m'imputano alcuni: e non pensano che uno che non si cura nè del papa nè dei re, non ha cagion di mentire per Manzoni, che biasimato non può mandarmi in galera, nè lodato può farmi cardinale o ciambellaio». Così ne scrive a Giuseppe Bianchetti il 13 decembre: «Il Romanzo di Manzoni mi par bello come lavoro letterario; ma stupenda cosa e divina come aiuto alle menti del popolo. Io credo che farà un gran bene; e i nemici del bene se ne accorgeran tardi. Grande amor del bene, e gran potenza e arte di farlo si vede in quell'ingegno». Di nuovo al Testa il 25 dello stesso mese: «Ho letto più di venti romanzi di Walter; e quanti ancora me ne restano!.. Non mi maraviglio che in tutta Europa piaccia molto il libro di Manzoni; e ne godo. In Italia vorrei che fosse letto a Dan usque ad Nephtali: vorrei che fosse riletto, predicato in tutte le chiese e in tutte le osterie, imparato a memoria. Se lo guardate come libro letterario, ci sarà forse un poco da dire; secondo la varietà de' gusti e delle abitudini. Ma come libro del popolo, come catechismo (elementare; bisognava cominciare dal poco) messo in dramma; mi pare stupendo, divino. Oh lasciatelo lodare: gl'impostori e gli oppressori se ne accorgeranno poi (ma tardi) che profonda testa, che potente leva è, chi ha posto tanta cura in apparir semplice, e quasi minchione: ma minchione a chi? agl'impostori e agli oppressori, che sempre furono e saranno minchionissimi. Oh perchè non ha Italia venti libri simili!» E al Bianchetti l'8 luglio del '31: «Bellissimo e utilissimo il vostro Discorso sui romanzi storici, che io credo si potrebbero far belli, e al nostro popolo proficui; purchè si seguisse la via di Manzoni. Ma chi ha la sua anima? Di tutti gli altri che ho veduti, nessuno mi piacque; anzi mi dispiacquero assai: imitazioni, e ben cattive e torte dello Scott. Invece di scrivere contro tal genere (se pur è vero che scrive) bisognerebbe pregare Manzoni che facesse un secondo lavoro simile; e sarebbe, una vera salute per la povera Italia. Gli altri, che dopo lui hanno guastato e guastano il mestiere, bisognerebbe pregarli a tacersi, e aspettare che sorga un Manzoni secondo»16.

Giambattista Niccolini a Firenze e Felice Belletti a Milano non si fidavano del proprio giudizio e aspettavano quello «del sesso gentile». Il Niccolini era «impaziente» da un pezzo di vedere i Promessi Sposi del Manzoni e I Lombardi alla prima crociata del Grossi, «avendo in gran concetto il loro ingegno»; come scrisse al conte Fracavalli il 20 decembre del '25. Nell'aprile del '26 chiedeva a Felice Bellotti: «Il romanzo del Manzoni quando uscirà?» Gli rispose il 29: «Del romanzo di Manzoni altra notizia non posso darvi, se non che tra un mese si comincerà la stampa del terzo ed ultimo tomo, essendo già finiti i due primi, che però l'autore non vuol dar fuori se non insieme con l'altro. Sicchè non penso che prima del luglio si potrà leggere». Il 2 agosto del '27 il Bellotti tornò a scrivergli: «Del Romanzo di Manzoni, del quale eravate curioso, or che l'avrete letto, che ve ne pare? Ha esso nel vostro senso adempiuta l'aspettazione che se ne avea? Le donne di Toscana lo leggono con piacere? poichè di tal genere di scritture alle donne principalmente, ed al popolo non idiota e non letterato, si vuol lasciare il giudizio, essendo principalmente diretto al loro trattenimento e vantaggio. Se non che moltissimo io stimo il giudizio di quei dotti (ma son pochi), i quali sanno farsi a giudicare anche di romanzi, messe da parte certe prevenzioni e pretensioni importune: e chi più di voi sagace nel discernere quali siano queste e più giusto nello scartarle?» Ecco la risposta del Niccolini: «Il Manzoni è qui, ed ho imparato a conoscerlo di persona: voi sapete che i buoni si credono volentieri grandi: ma non temo che l'affetto m'inganni, reputandolo il primo ingegno d'Italia17. Ho letto il suo romanzo tutto d'un fiato; ma non mi fido del mio giudizio, e aspetto anch'io quello del sesso gentile».

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