Avete confessata una colpa, disse tranquillamente Federigo: Dio ve la perdoni e a chi v'ha dato una tentazione così forte di commetterla. Ma d'ora in poi, buona figliuola, e voi, buona donna, non fate più di quelle cose che non raccontereste volentieri.
Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora il matrimonio poteva e doveva esser tosto conchiuso.
Questo era un punto ancor più rematico. Le dirò io cominciava Agnese, ma il Cardinale le diede un'occhiata, la quale significava, ch'egli sperava la verità più da Lucia che da lei, onde Agnese ammutì; e Lucia singhiozzando, rispose: Fermo, povero giovane, non è qui; s'è trovato in quei garbugli di Milano e ha dovuto fuggire; ma son certa ch'egli non ha fatto male, perchè era un giovane di timor di Dio.
Ma che ha fatto in quel giorno? chiese ancora il Cardinale: quale è la sua colpa?
Non ne sappiamo di più, rispose Lucia.
Il Cardinale, giacchè altri non v'era a cui domandare, si volse ad Agnese, la quale, rianimata, disse: Se volessi potrei inventare una storia per contentare Vossignoria illustrissima, ma sono incapace d'ingannare una gran persona, come Ella è; e non sappiamo proprio niente di più.
Dio buono! disse il Cardinale: insidie, colpe, sciagure, incertezze, ecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi, disse a Lucia, che pensate adunque di fare intanto?
Io, rispose Lucia, io vedo che il Signore ha deciso altrimenti di me, che non mi vuole in quello stato, e ho messo il mio cuore in pace. E se trovassi dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo; se potessi esser ricevuta conversa in un monastero consecrarmi a Dio
Oh che furia! sclamò Agnese.
Voi vi siete promessa, buona giovane, disse Federigo: vi siete allora risoluta a promettere senza riflessione, leggermente?
Questo no, disse Lucia arrossando.
Bene, disse Federigo, potrebbe ora dunque esser leggiero il ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che mutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie di sventure ad ambedue, e non è questa una ragione per separarvi. Questo non è il momento di pigliare una risoluzione. Sospendete, fate ricerche, aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua volontà. L'asilo87 intanto ve lo troverò io.
Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei; e dopo qualche altra parola di consolazione e di avviso la lasciò partire con Agnese88.
XIII.
Visita del Conte del Sagrato a Lucia
Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quella chiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto con lui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi ripartiva. Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno, che fu cagione di farlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi gliene aveva chiesto consiglio: perchè, dove si trattava di pericolo e di cautela, di bravi e di tiranni, non v'era uomo più al caso di dare un buon consiglio89: e il Conte aveva confortato il Cardinale ad installare pure sicuramente Lucia nel suo pacifico albergo. Prevedendo egli dunque che quel giorno Lucia si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si presentò all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando l'ora in cui il Cardinale era solito di desinare, e quando questa gli parve dover esser giunta, entrò nella cucina, dove Perpetua stava in grandi faccende, e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi trattenersi ad attendere che il pranzo fosse finito, per chiedere udienza a Monsignore. Chi entra in una cucina in un giorno di cerimonie è sempre il mal venuto; ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia e una recente di santità, che imposero anche a Perpetua, la quale, per levarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnese, propose al Conte d'entrare nella sala del pranzo. Si faccia avanti, diss'ella, sulla mia parola: Monsignore la vedrà molto volentieri; e anche il mio padrone e tutta la compagnia: non faccia cerimonie.
Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto. Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina, nel banco sotto la cappa del cammino, dicendo: Vossignoria starà come potrà: veramente avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori, che quello è il suo posto: basta, com'ella vuole: mi scusi se non posso fare il mio dovere a tenerle compagnia, perchè oggi ho tante faccende: ella vede. Il Conte sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane90, che aveva portato con sè, si diede a mangiare. Quando Perpetua vide questo, non lo volle patire. Come? un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi di questo: e lasci fare a me per mandare in tavola il piatto senza un segno: non faccia complimenti: che serve? E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce: Via, signor Conte; che scrupoli son questi? so quello che posso fare; la padrona sono io qui. Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a rodere ostinatamente il suo pane.
Quando poi da quello che accadeva in cucina s'avvide che erano cessati i cibi e levate le mense, fece chiedere udienza a Federigo, dal quale fu tosto fatto introdurre.
Monsignore, diss'egli, quando gli fu in presenza, questo è un giorno di festa singolare per questo paese e per voi: ma in questa allegrezza comune, io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri; il gaudio puro e sgombro della liberazione d'una innocente non è per colui che l'aveva vilmente oppressa, angariata. A me conviene dunque un contegno e un linguaggio particolare; lasciate che io faccia oggi la mia parte; approvate che io vada ad implorare un perdono da quella innocente, ch'io mi umilj dinanzi a lei, che le confessi il mio orribile torto, e che riceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri, che non saranno certo condegni alla mia iniquità, ma che serviranno in parte ad espiarla.
Federigo intese con gioja questa proposizione; e pel Conte, a cui questo passo sarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello stesso tempo; e per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza umiliata volontariamente, sarebbe un conforto, un rincoramento dopo tanti terrori; e pel trionfo della pietà, e per l'edificazione dei buoni; e finalmente perchè una riparazione pubblica e clamorosa attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo91, sarebbe una più aperta manifestazione del soccorso che Dio le aveva dato, la renderebbe come sacra, e così più sicura da ogni nuovo attentato dello sciaurato suo persecutore. Approvò egli dunque con vive e liete parole la proposizione e aggiunse: Dite: dite se l'offesa la più ardentemente bramata, la più lungamente meditata, la meglio riuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontaria riparazione?
Ah! la dolcezza sarebbe intera, rispose il Conte, se la riparazione potesse esserlo, se il pentimento, se l'espiazione la più operosa, la più laboriosa potesse fare che il male non fosse fatto, che i dolori non fossero stati sentiti.
Ma v'è ben Quegli, rispose Federigo, che può far di più; che può cavare il bene dal male, dare pei dolori sofferti il centuplo di gioja, fargli benedire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui e con Lui quel poco che v'è concesso di fare, Egli farà il resto: Egli farà che del male passato non resti a quella poveretta che un argomento di riconoscenza e di speranza, e a voi di una afflizione umile e salutare92.