Cobeñas David - Maria (Italiano) стр 6.

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Capitolo XI

Mi sforzai di essere gioviale per il resto della giornata. A tavola parlai con entusiasmo delle belle donne di Bogotà e lodai intenzionalmente le grazie e l'arguzia di P***. Mio padre fu contento di ascoltarmi: Eloísa avrebbe voluto che la conversazione del dopocena si protraesse fino a notte fonda. Maria taceva; ma mi sembrava che le sue guance a volte impallidissero, e che il loro colore primitivo non fosse tornato, come quello delle rose che durante la notte hanno adornato un banchetto.

Verso l'ultima parte della conversazione, Mary aveva fatto finta di giocare con i capelli di John, il mio fratellino di tre anni che lei viziava. Lei lo sopportò fino alla fine; ma appena mi alzai in piedi, andò con il bambino in giardino.

Per tutto il resto del pomeriggio e fino alla sera presto fu necessario aiutare mio padre nel suo lavoro d'ufficio.

Alle otto, dopo che le donne avevano recitato le solite preghiere, fummo chiamati nella sala da pranzo. Quando ci sedemmo a tavola, fui sorpresa di vedere uno dei gigli sul capo di Maria. C'era una tale aria di nobile, innocente, dolce rassegnazione nel suo bel viso che, come calamitato da qualcosa di sconosciuto in lei fino a quel momento, non potei fare a meno di guardarla.

Ragazza amabile e ridente, donna pura e seducente come quelle che avevo sognato, così la conoscevo; ma rassegnato al mio disprezzo, era nuova per me. Divinizzato dalla rassegnazione, mi sentivo indegno di fissare uno sguardo sulla sua fronte.

Risposi male ad alcune domande che mi furono poste su Giuseppe e la sua famiglia. Mio padre non riuscì a nascondere il mio imbarazzo e, rivolgendosi a Maria, disse sorridendo:

Bel giglio tra i capelli: non ne ho visti di simili in giardino.

Maria, cercando di nascondere il suo sconcerto, rispose con voce quasi impercettibile:

Si trovano gigli di questo tipo solo in montagna.

In quel momento colsi un sorriso gentile sulle labbra di Emma.

E chi li ha mandati? -chiese mio padre.

La confusione di Maria era già evidente. La guardai; e lei dovette trovare qualcosa di nuovo e incoraggiante nei miei occhi, perché rispose con un accento più deciso:

Ephraim ne gettò alcuni in giardino e ci sembrò che, essendo così rari, fosse un peccato che andassero perduti: questo è uno di loro.

Mary", dissi, "se avessi saputo che questi fiori erano così preziosi, li avrei tenuti per te; ma li ho trovati meno belli di quelli che ogni giorno vengono messi nel vaso sulla mia tavola.

Lei capì la causa del mio risentimento e un suo sguardo me lo disse così chiaramente che temetti di sentire le palpitazioni del mio cuore.

Quella sera, mentre la famiglia usciva dal salone, Maria era seduta vicino a me. Dopo aver esitato a lungo, finalmente le dissi con una voce che tradiva la mia emozione: "Maria, erano per te, ma non ho trovato i tuoi".

Balbettò delle scuse quando, inciampando nella mia mano sul divano, trattenni la sua con un movimento fuori dal mio controllo. Smise di parlare. I suoi occhi mi guardarono stupiti e fuggirono dai miei. Si passò ansiosamente la mano libera sulla fronte e vi appoggiò la testa, affondando il braccio nudo nell'immediato cuscino. Infine, facendo uno sforzo per sciogliere quel doppio legame di materia e anima che in quel momento ci univa, si alzò in piedi; e come se stesse concludendo una riflessione importante, mi disse così a bassa voce che a malapena riuscivo a sentirla: "Allora raccoglierò ogni giorno i fiori più belli", e scomparve.

Le anime come quella di Maria ignorano il linguaggio mondano dell'amore; ma tremano alla prima carezza di chi amano, come il papavero dei boschi sotto l'ala dei venti.

Avevo appena confessato il mio amore a Maria; lei mi aveva incoraggiato a confessarglielo, umiliandosi come una schiava per raccogliere quei fiori. Mi ripetevo con piacere le sue ultime parole; la sua voce mi sussurrava ancora all'orecchio: "Allora raccoglierò ogni giorno i fiori più belli".

Capitolo XII

La luna, che era appena sorta piena e grande sotto un cielo profondo sopra le imponenti creste delle montagne, illuminava i pendii della giungla, a tratti imbiancati dalle cime degli yarumos, argentando le spume dei torrenti e diffondendo la sua malinconica chiarezza fino al fondo della valle. Le piante esalavano i loro aromi più tenui e misteriosi. Quel silenzio, interrotto solo dal mormorio del fiume, era più che mai piacevole per la mia anima.

Appoggiato con i gomiti al telaio della finestra, immaginavo di vederla in mezzo ai cespugli di rose tra i quali l'avevo sorpresa quella prima mattina: era lì che raccoglieva il mazzo di gigli, sacrificando il suo orgoglio al suo amore. Ero io che d'ora in poi avrei turbato il sonno infantile del suo cuore: potevo già parlarle del mio amore, farne l'oggetto della mia vita. Domani! Parola magica, la notte in cui ci viene detto che siamo amati! Il suo sguardo, incontrando il mio, non avrebbe avuto più nulla da nascondermi; si sarebbe abbellita per la mia felicità e il mio orgoglio.

Mai le albe di luglio nel Cauca furono così belle come quella di Maria quando mi si presentò il giorno dopo, pochi istanti dopo essere uscita dal bagno, con i capelli di tartaruga sciolti e mezzi arricciati, le guance di un rosa tenuemente sbiadito, ma a tratti arrossato, e sulle labbra affettuose quel sorriso castissimo che rivela in donne come Maria una felicità che non è possibile nascondere. Il suo sguardo, ora più dolce che luminoso, mostrava che il suo sonno non era così tranquillo come prima. Avvicinandomi a lei, notai sulla sua fronte una contrazione graziosa e appena percettibile, una sorta di finta severità che spesso usava nei miei confronti quando, dopo avermi abbagliato con tutta la luce della sua bellezza, mi imponeva il silenzio sulle labbra, sul punto di ripetere ciò che sapeva così bene.

Era già una necessità per me averla costantemente al mio fianco; non perdere un solo istante della sua esistenza abbandonata al mio amore; e felice di ciò che possedevo, e ancora desiderosa di felicità, cercai di fare della casa paterna un paradiso. Parlai a Maria e a mia sorella del desiderio che avevano espresso di fare alcuni studi elementari sotto la mia direzione: si dimostrarono di nuovo entusiaste del progetto, e fu deciso che da quel giorno stesso avrebbe avuto inizio.

Trasformarono uno degli angoli del soggiorno in un mobile per lo studio; disfecero alcune mappe della mia stanza; rispolverarono il mappamondo geografico che fino ad allora era rimasto ignorato sulla scrivania di mio padre; due consolle furono liberate dai soprammobili e trasformate in tavoli da studio. Mia madre sorrideva mentre assisteva a tutto il disordine che il nostro progetto comportava.

Ci incontravamo ogni giorno per due ore, durante le quali le spiegavo un capitolo o due di geografia, leggevamo un po' di storia universale e spesso molte pagine del Genio del Cristianesimo. Allora potei apprezzare tutta la portata dell'intelligenza di Maria: le mie frasi erano impresse in modo indelebile nella sua memoria e la sua comprensione precedeva quasi sempre le mie spiegazioni con un trionfo infantile.

Emma aveva sorpreso il segreto e si compiaceva della nostra innocente felicità; come potevo nasconderle, in quei frequenti incontri, ciò che accadeva nel mio cuore? Deve aver osservato il mio sguardo immobile sul volto ammaliante della sua compagna mentre lei dava una spiegazione richiesta. Aveva visto la mano di Maria tremare se l'avevo posata su qualche punto cercato invano sulla mappa. E ogni volta che, seduti vicino al tavolo, con loro in piedi ai lati del mio posto, Maria si chinava per vedere meglio qualcosa nel mio libro o sulle carte, il suo respiro, sfiorando i miei capelli, i suoi capelli, rotolando dalle spalle, disturbavano le mie spiegazioni, ed Emma la vedeva raddrizzarsi modestamente.

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