«Credo che si sia ricordato che ho promesso che gli avrei portato una sorpresa la prossima volta che fossi andata in città» spiegò.
Monsieur Reynard non sorrise veramente, ma i suoi occhi si ammorbidirono in un modo che la fece sentire improvvisamente accaldata. «Vedo che ha già imparato a conoscere una delle cose preferite di questo piccolo mascalzone. Le sorprese non sono mai troppe.»
«Potrebbe aver sottinteso qualcosa del genere» rispose lei scoppiando a ridere apertamente. «E sarei felice di andarci adesso. Non ho altro da fare, dopotutto.»
Stranamente, le sue parole informali sembrarono raffreddare la temperatura della stanza, e lei desiderò potersele rimangiare.
«Monsieur Hormet la accompagnerà, allora, e gli darò istruzioni di farmi fatturare direttamente dai negozi di abbigliamento… Non c’è bisogno che scelga qualcosa...» fece una pausa, come se cercasse una parola con tatto, «...di eccessivamente pratico» decise infine. «Può prendere qualcosa di adeguato e appropriato senza preoccuparsi del costo.»
La scelta del cappotto di oggi mi perseguiterà per sempre? Si chiese Veronica. Di solito non si vestiva così, ma si era trattato di un colloquio di lavoro! Buon Dio. Nessuno in quella casa sapeva che per un colloquio di lavoro ci si veste per compiacere qualsiasi tipo di interlocutore?
«Grazie. Farò del mio meglio» rispose acida, pensando che lui non avesse notato l’accenno di sarcasmo nel tono della sua voce, ma colse un certo luccichio di divertimento negli occhi del suo nuovo datore di lavoro, quando gli passò accanto dopo che lui le aveva fatto cenno di precederlo. Forse Monsieur Reynard non era fatto di marmo, dopotutto.
Lasciando la stanza, Alain si rese conto di cosa fosse quella sensazione sconosciuta che si agitava nel suo petto. Leggerezza. Umorismo. Pensò che potesse piacergli davvero quella giovane donna un po’ troppo modesta. Veronica. Il nome non sembrava adatto a lei, ma gli era piaciuto come aveva insistito che tutti la chiamassero così, anche se lui aveva notato che si era resa conto che fosse una richiesta insolita.
Il suo istinto, e aveva costruito il suo vasto impero commerciale in gran parte sulla sua percezione nei riguardi degli altri, gli diceva che non avrebbe potuto trovare una compagnia migliore per il suo bambino. E se le sue parole, espresse d’impulso, avevano sorpreso sia lui che la giovane donna, niente poteva essere più vero. Jean-Philippe era il centro del suo mondo. La leggerezza e la gioia che suo figlio portava con sé illuminavano anche le parti più oscure del cordiglio e dell’angoscia di Alain.
Se prima dei recenti avvenimenti nella loro casa di Nizza a volte aveva dato per scontata la sicurezza e la presenza continua di suo figlio, ora tutto quello che faceva era per Jean-Philippe. Aveva trasferito una porzione molto ridotta della servitù nella loro casa più piccola e più remota lì, nel Maine, in parte per tenersi lontano dalla stampa implacabile, ma soprattutto per suo figlio, per assicurarsi che Jean-Philippe potesse correre libero e divertirsi senza il costante controllo dei media, le speculazioni, i sospetti, e i costanti crudeli pettegolezzi a cui non potevano sfuggire in nessun ambito della società francese.
L’ironia della scelta del luogo non gli era sfuggita, però. Era una delle case che aveva ereditato da suo padre, il quale aveva fatto trasportare lo storico castello via nave, mattone dopo mattone, dal nord della Francia come grande gesto romantico in onore della moglie americana. Era sempre stato un posto speciale e idilliaco per Alain e suo fratello, Marius, quando vi si erano recati durante alcune delle loro vacanze estive da bambini. Dopo la morte dei suoi genitori, anche Alain l’aveva condiviso con sua moglie Joëlle, quando si erano appena sposati. Una volta aveva pensato che potesse diventare anche il loro posto speciale, ma naturalmente alla fine si era sbagliato, come si era sbagliato su tante cose legate a Joëlle. Non ci avevano mai portato Jean-Philippe in vacanza. Alain non aveva mai avuto tempo per lunghe vacanze. O, per meglio dire, non aveva mai fatto in tempo. Ma ora, trovare tempo per suo figlio, considerando i suoi desideri e le sue necessità, era la cosa più importante per lui.
A volte, nelle ultime due settimane, da quando erano arrivati, aveva avuto l’impressione di avvertire la presenza degli spiriti di coloro che non c’erano più. Una suggestione, ma aveva immaginato di aver sentito il profumo di sua madre o dei fiori che lui e suo fratello raccoglievano per lei ai margini della foresta vicina.
Avrebbe potuto giurare di aver sentito anche la risata argentina di sua moglie. Era stato attratto da tante cose di Joëlle, quando si erano conosciuti, ma la sua risata, il modo in cui il suo bel viso si illuminava di felicità, era qualcosa che non avrebbe mai dimenticato. Poi l’aveva persa, ma la sua risata era qualcosa che aveva sentito spesso quando erano andati lì, insieme. Quel castello sembrava quasi infestato, non dalla malinconia ma da ricordi che ora erano ugualmente tristi. Sperò che Jean-Philippe e la sua nuova ragazza alla pari potessero scacciare quei ricordi, sostituendoli con altri nuovi... migliori.
Si scosse di dosso quei pensieri malinconici: da quando era diventato così sdolcinato? Alain si diresse nel suo ufficio. I suoi passi erano ancora dolorosi, specialmente se aveva camminato molto durante il giorno, ma ormai, il più delle volte, riusciva a nascondere le smorfie e la rigidità, se si muoveva molto lentamente. Volutamente. Quel giorno, però, aveva decisamente camminato troppo e avrebbe dovuto sollevare la gamba, quando si fosse seduto. Poco prima di entrare nel suo ufficio, con l’intenzione di fare un’ultima chiamata in videoconferenza con un importante cliente parigino, prima che fosse troppo tardi in Europa, non poté fare a meno di sorridere, e la sensazione di usare quei muscoli facciali gli risultò insolita.
Non gli era sfuggito il modo in cui gli occhi di Veronica avevano lampeggiato e il suo petto si era gonfiato per l’indignazione, quando le aveva suggerito di non essere troppo frugale nelle sue scelte, anche se lei aveva cercato di nasconderlo. Poteva magari essere modesta, ma sotto sotto c’era anche del fuoco... Sperò sinceramente che si divertisse a fare shopping in città e, incuriosito suo malgrado, si chiese cosa avrebbe preso per Jean-Philippe. Sentì una strana accelerazione nel suo polso ricordando le sue curve generose, a quanto sarebbe stata morbida se l’avesse toccata, baciata, tenuta contro il suo corpo. Poi si tolse ogni pensiero di lei dalla testa e si concentrò sugli affari.
Capitolo Tre
Grant’s Cliff si trovava a solo a un paio di miglia al massimo dal castello e la città era sorprendentemente grande, ma molti dei caffè e dei negozi di souvenir lungo la strada principale del centro erano ancora chiusi per la stagione. Contrariamente a quanto aveva detto il controllore, sembrava dopotutto una meta turistica, anche se piccola. Veronica era stata a Camden, una volta, in una gita estiva di tanto tempo prima, e in diverse città del Maine meridionale, ma Grant’s Cliff sembrava più... autentica, in qualche modo, come se fosse un luogo destinato agli abitanti del posto quanto ai turisti. Dato che un altro nome del Maine era “Vacationland” – diamine, lo avevano scritto anche sulle targhe automobilistiche – pensò che forse quell’aspetto fosse insolito per una città costiera. C’erano diverse boutique tra cui scegliere, ma era preoccupata che non fossero proprio il suo stile e che i vestiti in vendita non fossero del tutto appropriati per correre dietro tutto il giorno dietro a un bambino di quattro anni. Con sollievo, individuò un minuscolo centro commerciale proprio ai margini del centro della città: era la versione più piccola di un grande magazzino che avesse mai visto. Tuttavia, riconobbe il nome e immaginò che avrebbe trovato tutto il necessario.